giovedì 11 giugno 2015

Eros e Thanatos – Amore e odio: quando l’amore “ferisce”

In Italia, con l’approvazione del  DDL del 15 Gennaio 2009 da parte della Commissione Giustizia della Camera, a seguito di tanti eventi delittuosi, viene introdotto il reato di stalking nel Codice Penale.

Il termine inglese stalker deriva dal linguaggio tecnico della caccia: inseguire, dare la caccia, braccare, pedinare. È costituito da comportamenti come telefonate, lettere anonime, pedinamenti, minacce e aggressioni nella vita privata di un’altra persona, mettendo in atto una violazione della libertà personale.

L’attenzione verso questo fenomeno nasce negli Stati Uniti a seguito del caso di molestie ed il successivo omicidio di Rebecca Schaeffer, un’attrice televisiva uccisa nel 1989 da un ammiratore affetto da problemi mentali.

Secondo il Codice Antistalking redatto dal Congresso degli Stati Uniti nel 1992, per parlare di stalking è necessaria la presenza di alcuni elementi, quali: una condotta continuativa volta a seguire e/o minacciare; la reiterazione per almeno due volte; attenzione rivolta, oltre che alla vittima, anche ai membri della sua famiglia; consapevolezza della capacità dell’azione messa in atto di incutere timore.

Molti elementi possono preannunciare un comportamento violento, ma spesso la donna non li considera come un pericolo.

Per capire Thanatos bisogna comprendere anche Eros, attraverso lo sviluppo dell’affettività.

Lo sviluppo affettivo che un individuo attraversa nei primi anni di vita può influenzare l’evoluzione e la costruzione dell’identità.

Autori come Spitz e Bowlby hanno evidenziato le conseguenze della deprivazione affettiva durante l’infanzia, tra cui rallentamento nello sviluppo psico – fisico, gravi alterazioni della sfera affettiva, difficoltà nell’instaurare relazioni  affettive, deterioramento delle facoltà cognitive.

Dal punto di vista clinico, già la psichiatria ottocentesca aveva già evidenziato la persecuzione intrusiva legata alle relazioni affettive, mentre nel ‘900 è stata delineata la figura del persecutore “erotomane”.

Come già detto,  il fenomeno stalking è costituito da ripetute, indesiderate comunicazioni e/o intrusioni inflitte da un individuo a un altro e che producono paura e ricerca di controllo sull’altro, come succede ad esempio anche nell’esibizionismo e nella scatologia telefonica (parafilie) dove troviamo la volontà di “sorprendere” l’altro privandolo della propria libertà individuale ed entrando di forza nella sfera intima dell’altro.

Negli episodi di persecuzione ed uccisione della donna, a differenza degli omicidi seriali, avviene quando questa si rifiuta di soddisfare le richieste del partner (e/o ex) in quanto decide di uscire dalla  sfera di influenza psicologica di quest’ultimo; è in questo momento di ricerca di indipendenza e libertà che l’uomo sente che ha perso la sua “proprietà” e la non tolleranza della frustrazione del rifiuto consente loro di vedere come unica opzione disponibile il ricorso ad una violenza letale.

Caratteristica fondamentale del persecutore è quella di avere una struttura narcisistica di personalità che gli impedisce di instaurare adeguate relazioni oggettuali: per il narcisista l’altro non esiste in quanto essere autonomo con le sue esigenze, ma semplicemente come specchio per il proprio ego e per manifestare il proprio potere.

Il narcisista intrattiene relazioni con degli oggetti – sé ed evita qualsiasi scambio autentico di emozioni, proprio come fa il persecutore che, anche se dice “ti amo” all’oggetto delle sue molestie, in realtà sta pronunciando parole vuote, prive di significato, perché appunto all’altro non viene riconosciuta la possibilità di regolare il rapporto, ma deve solamente sottostare ai ritmi imposti dallo stalker.

Trasformazione della relazione d’oggetto in una relazione di potere nella quale l’obiettivo principale è il mantenimento del controllo assoluto: controllo e intrusione nelle frequentazioni e amicizie, o nelle abitudini quotidiane della donna; uso di minacce e intimidazioni; messa in atto di un comportamento possessivo formato da complimenti alternati ad atteggiamenti denigratori e svalutanti; uso continuo dei meccanismi della consapevolezza e del ricatto.

All’inizio, il soggetto perverso non cerca di distruggere la vittima, ma esercita una forma di seduzione per conquistarne la fiducia e ottenere il controllo della relazione fino ad arrivare a minacce ed intimidazioni: chiamate/messaggi insistenti; controllo economico, negli spostamenti e nelle amicizie; critiche nel modo di vestire; rimproveri davanti altre persone; critiche verso le amicizie; umiliazioni, insulti, violenza fisica e pressione psicologica.

È evidente come lo stalker utilizzi il potere all’interno della relazione sentimentale, con l’obiettivo di mantenere il controllo sul proprio oggetto sia da un punto di vista fisico che psicologico.La ricerca del potere utilizza una forma perversa di comunicazione: dapprima la conquista della fiducia della vittima attraverso un comportamento adeguatamente buono; una volta ottenuta la fiducia ogni successivo messaggio ha lo scopo di minacciare e intimidire. A lungo andare questa modalità comunicativa e l’intrattenimento di relazioni patologiche può portare ad un agito narcisistico sino ad arrivare al disturbo antisociale e alla vera e propria psicopatia.

 

Maria I. Cattolico

Psicologa

 
 

Bibliografia
BOWLBY J. (1988) Cure materne ed igiene mentale del fanciullo. Giunti Barbera, Firenze.
DE LUCA R. (1998) Anatomia del serial killer. Nuove proposte per un’analisi psico – socio – criminologia dell’omicidio seriale. Giuffrè Editore, Milano.
DE LUCA R. (2009) Donne assassinate. Dall’omicidio seriale allo stupro di gruppo, storia e fenomenologia della guerra condotta dal genere maschile contro “l’altra metà del cielo”. Newton Compton Editori, Roma.
FILIPPINI S. (2005) Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia. FrancoAngeli, Milano.
KOHUT H. (1978) tr. it.: La ricerca del Sé. Boringhieri, Torino, 1982.
SERRA C. (2000) Proposte di criminologia applicata. Giuffrè Editore, Milano, 2003.
TANI C. (2003) Amori crudeli. Quando si uccide chi si ama. Armando Arnoldo Mondadori S. p. a., Milano.
 
 

 

mercoledì 15 aprile 2015

I diritti dei nonni sui nipoti in caso di separazione o divorzio

Dopo un giudizio di separazione o di divorzio, spesso ai nonni viene negato il diritto di continuare a mantenere un regolare e pacifico rapporto con i propri nipoti. Capita infatti che, a seguito della rottura del rapporto matrimoniale, uno dei due coniugi ostacoli il rapporto tra i figli minori ed i nonni, impedendo a volte anche la frequentazione. Sebbene non si possa parlare di un vero e proprio diritto di visita dei nonni nei confronti dei nipoti, l'ordinamento prevede forme di tutela affinché il rapporto tra nipoti e nonni possa rimanere vivo anche dopo la fine del vincolo matrimoniale tra i genitori.
La legge n. 54 del 2006, al fine di preservare il diritto al rispetto e alla protezione delle relazioni familiari, non si è limitata a garantire il rapporto dei figli con entrambi i genitori, ma ha tutelato anche le relazioni con i nonni, fratelli e zii.
Il nuovo art. 155 del codice civile stabilisce che, "anche in caso di separazione personale dei genitori, il minore ha il diritto di avere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, e di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi", aggiungendo allo stesso tempo il diritto di "conservare rapporti significativi non solo con i nonni ma anche con i parenti di ciascun ramo genitoriale".
Pur non essendo titolari di un vero e proprio diritto di visita, i nonni possono ottenere tutela in sede giudiziaria, essendo portatori di un interesse legittimo ad avere con i nipoti una stabile e continua frequentazione.
Qualora venga posto in essere un comportamento ostruzionistico, i nonni possono ricorrere al tribunale dei minorenni e chiedere di verificare il corretto esercizio della potestà genitoriale, per accertare se il comportamento di uno dei genitori o di entrambi tuteli correttamente l'interesse dei figli.
(Cassazione Civile, sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509. L'art. 147 cod. civ. impone ai genitori l'obbligo di mantenere i propri figli. Tale obbligo grava su di essi in senso primario ed integrale, il che comporta che se l'uno dei due non voglia o non possa adempiere, l'altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro, salva comunque la possibilità di agire contro l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. Solo in via sussidiaria, dunque succedanea, si concretizza l'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli previsto dall'art. 148 cod. civ., che comunque trova ingresso non già perché uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio obbligo, ma se ed in quanto l'altro genitore non abbia mezzi per provvedervi).
Al fine di ottenere dai nonni il mantenimento economico a favore del minore, occorre che uno dei genitori presenti, dinanzi al tribunale competente per territorio, ricorso ex art. 148 comma II cod. civ. . Solo però in via sussidiaria, cioè quando nemmeno la possibilità economica del genitore adempiente è sufficiente, i nonni saranno tenuti a intervenire. L'obbligazione dei nonni potrà anche concorrere con quella dei genitori cquando l'apporto di questi ultimi risulti non adeguato. Bisogna, però, tenere conto della condizione economica dei nonni, e qualora questi, con il loro reddito riescano a stento a fare fronte ai propri bisogni primari, non potrà essere chiesto loro di provvedere al mantenimento dei nipoti.

Lo studio legale Aprile segue anche casi di tutela dei diritti dei nonni sui nipoti in caso di separazione o divorzio.
Per eventuali informazioni, avv.valeriaaprile@libero.it

venerdì 27 marzo 2015

La violenza psicologica

Troppe volte si cade nell’errore di considerare la violenza fisica l’unica forma di violenza a cui è soggetta una donna, forse perché è quella più facile da dimostrare.
C’è invece un’altra forma di violenza più grave perché avviene in maniera subdola, difficile da riconoscere e da provare, ed è la violenza psicologica.
Il GASLIGHTING è un insieme di comportamenti posti in essere nei confronti di una persona per confonderla, farle perdere la fiducia in se stessa, farla sentire sbagliata, renderla dipendente fino a farla dubitare della sua sanità mentale.
Scopo di un tale atteggiamento è rendere la persona insicura sicchè si possa avere un totale controllo sulla vita di quest’ultima.
Le umiliazioni spesso riguardano il modo di essere della persona che viene denigrata in ogni momento della propria quotidianità mettendo in discussione il ruolo che la donna occupa ritenendola sempre inidonea ed inutile.
Oltre a frasi offensive ed umilianti, che con il trascorrere del tempo rendono la donna sempre più insicura e dipendente dal partner, il controllo avviene cercando di allontanare la persona dalla propria famiglia, dalle proprie amicizie, impedendole di lavorare o praticare sport.
A volte anche per non mostrare il disagio che si prova la donna preferisce non confidarsi con nessuno e chiudersi in se stessa.
UMILIARE, SVILIRE, RIDICOLIZZARE, costituiscono atti peculiari alla violenza psicologica.
La donna che subisce atti di vilenza psicologica spesso entra nella convinzione di essere realmente inadeguata, e finisce per affidarsi totalmente al volere dell’altro che condiziona ogni sua scelta.
A volte invece si ha la forza di reagire riacquistando la propria autostima, e questo repentino cambiamento determina nell’altro una reazione che può essere anche violenta. 
Per riconoscere se si sta subendo effettivamente una forma di violenza psicologica, è necessario che i comportamenti illustrati siano ripetitivi e protratti nel tempo.
La ripetitività ed il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo a livello psicologico.
Dimostrare la violenza psicologica è cosa difficile perché non esistono confini determinati per valutarla e la stessa azione può essere valutata in maniera differente a seconda della persona che la valuta, ma non è cosa impossibile se si chiede l’aiuto di figure professionali idonee.
Sarebbero necessarie iniziative in cui illustrare i casi in cui si è vittima di violenza psicologica, allo scopo di prevenire il rischio di diventarne vittime.
In ogni caso tale comportamento è punibile, anche se spesso è difficile ricevere tutela senza prove.
Ma la denuncia è l’unico strumento di difesa anche al fine di determinare l’allontanamento dello gashlighter.
Lo studio legale Aprile, con l’ausilio di psicologhe e psicoterapeutiche, è disponibile ad accompagnare chiunque ritenga di essere vittima di violenza psicologica durante tutto il percorso legale e psicologico necessario al raggiungimento della punizione del colpevole.

domenica 8 marzo 2015

Le cause estintive del diritto al mantenimento

L’assegno di mantenimento ha la finalità di tutelare i figli ed il coniuge economicamente più debole garantendo, a seguito della separazione o del divorzio, l'adempimento dei doveri assistenziali e solidaristici nascenti dal matrimonio, garantendo il mantenimento delle condizioni economiche ed il tenore di vita esistenti in costanza di matrimonio.
L’assegno, però, non è immutabile nel tempo ma può essere modificato o revocato al variare delle condizioni economiche dell’avente diritto.
L’obbligo dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli permane, indipendentemente da raggiungimento della maggiore età, fino al raggiungimento della autosufficienza economica tale da poter provvedere da soli alle proprie esigenze con la percezione “di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato” (Cass. n. 20137/2013).
E’indirizzo costante ed uniforme della giurisprudenza che i genitore che voglia far valere la cessazione del diritto al mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne debba provare che la mancata autosufficienza derivi dall’inerzia o dalla negligenza dello stesso ovvero dipenda da fatto a lui imputabile (Cass. n. 7970/2013).
Mentre non rileva ai fini dell’esclusione dell’assegno la costituzione, da parte del figlio maggiorenne, di un nucleo familiare, salvo che non si tratti di “una nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente” (Cass. n. 1830/2011).

Riguardo al mantenimento dell’ex coniuge le cause estintive del diritto possono essere così elencate:

a) addebito della separazione.
L’addebito viene pronunciato dal Giudice quando la separazione è stata determinata dal comportamento di uno dei coniugi contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (violazione dell’obbligo di fedeltà, coabitazione, assistenza…).
La pronuncia dell’addebito determina la perdita del diritto all’assegno di mantenimento ex art. 156 I° comma c.c., oltre alla perdita dei diritti successori nei confronti del’altro coniuge.

b) redditi propri e capacità di spesa.
Il presupposto dell’assegno di mantenimento è a mancanza di adeguati redditi propri ovvero non solo l’assenza di alcun tipo di reddito ma anche la titolarità di redditi che non consentono di mantenere un tenore di vota analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Le capacità lavorative del coniuge o le possibilità di percepire un reddito, valutate in astratto, non costituiscono elemento che possa concorrere all’esonero dell’assegno considerato che il diritto al mantenimento del coniuge debole non è legato all’incapacità lavorativa bensì all’esigenza di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 3502/2013).
Nella valutazione dei redditi del coniuge avente diritto la giurisprudenza ha affermato che l’accertamento va condotto non solo sui redditi propri o direttamente fruibili dallo stesso ma anche in modo indiretto attraverso la “capacità di spesa de coniuge”.
Per escludere il diritto al mantenimento non solo la mancanza di entrate ma anche le uscite possono essere utilizzate come prova di un reddito adeguato, in quanto possibili solo in presenza di un’entrata o di un reddito (Cass. n. 24667/2013).
Non possono essere considerati redditi, gli aiuti da parte dei familiari, perché sugli stessi il coniuge non può fare affidamento costante né avanzare pretese.


L’assegno può infine venir meno ove il coniuge beneficiario acquisti iure hereditatis la proprietà di un immobile o comunque una eredità consistente tale da assicurare un miglioramento economico che possa garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 932/2014) mentre una eredità di modesto valore “non altera l’equilibrio raggiunto con la determinazione dell’assegno” (Cass. n. 20408/2011)


c) convivenza o nuove nozze
La costituzione di una nuova famiglia anche di fatto dal parte del coniuge separato o divorziato tenuto alla corresponsione del’assegno di mantenimento non legittima di per sé l’esonero dall’obbligo nei confronti dei figli né dell’ex coniuge, poiché è espressione di una libera scelta che lascia inalterata la consistenza degli obblighi determinati in sede di separazione o divorzio (Cass. n. 12212/2001), potendo semmai influire sulla modifica del valore dell’assegno in base al miglioramento o al peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. n. 24506/2006).
Quando, invece, a costituire un nuovo nucleo familiare è l’avente diritto all’assegno di mantenimento assume rilievo non solo il passaggio a nuove nozze che determina la perdita del diritto al mantenimento ma anche la mera convivenza, posto che la situazione modifica la condizione personale dell’ex coniuge.
Deve però trattarsi di una relazione avente i caratteri della stabilità, della continuità e della regolarità.
La Cassazione ha affermato che il diritto a mantenimento viene meno quando si crea una nuova famiglia poiché la convivenza e la relativa prestazione di assistenza da parte del convivente costituisce elemento da valutare in ordine alla disponibilità di “mezzi adeguati” rispetto al parametro rappresentato dal tenore di vita goduto del corso delle nozze (Cass. n. 25845/2013).

d) morte del coniuge

L’assegno di mantenimento si estingue nel momento della morte di colui che è obbligato a versarlo.
L’avente diritto, però, può ottenere una quota dell’eredità proporzionale alla somma percepita con l’assegno periodico da quantificarsi sulla base del quantum ricevuto sino al momento della morte, dell’entità del bisogno, della consistenza dell’eredità e delle condizioni economiche degli eredi.
Anche il coniuge divorziato percettore dell’assegno divorzile pur perdendo i diritti successori può rivalersi sull’eredità dell’ex compagno scomparso avendo diritto ad un “assegno successorio” a carico dell’eredità.

Il mantenimento non viene meno automaticamente con il sopraggiungere di fatti estintivi ma in seguito all’intervento dell’autorità giudiziaria con l’emanazione di una sentenza che accerta l’estinzione dell’obbligazione ex art. 710 c.p.c. o che omologa le modifiche effettuate dai coniugi.

(Sentenze tratte da www.studiocataldi.it quotidiano giuridico) 

mercoledì 25 febbraio 2015

L'assegnazione della casa coniugale nei giudizi di separazione e divorzio


Nei giudizi di separazione e divorzio, oltre agli aspetti economici relativi alla determinazione dell’assegno di mantenimento, questione di rilevante importanza riguarda il provvedimento di assegnazione della casa coniugale.
Per casa familiare si intende l’abitazione in cui la famiglia effettivamente abiti in modo continuativo, ovvero quell'abitazione che presenta le caratteristiche della abitualità, stabilità e continuità.
La Corte di Cassazione ha stabilito che l’art. 155 quater cod. civ., nello stabilire che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, risponde al’esigenza, prevalente su ogni altra, di conservare ai figli di coniugi separati l’habitat domestico da intendersi come centro degli affetti, degli interessi e consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare ed a tale ratio devono ispirarsi anche le determinazioni sula revoca dell’assegnazione della casa familiare. (Cass. civ. Sez. I, 9 agosto 2012, n. 14348, in Il caso.it, 2012).
La regola generale è la tutela dell’interesse dei figli, ovvero garantire loro la conservazione dell’ambiente domestico, ovvero il quartiere dove vive, la scuola, le amicizie e quant'altro rientri nelle proprie abitudini quotidiane.


ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E NUOVA CONVIVENZA

L’art. 155 cod.civ. prevede che il diritto alla casa familiare viene meno quando l’assegnatario:
- non abiti più o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare;
- oppure conviva di fatto con altra persona o contragga nuovo matrimonio.
Questa norma però, è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che con sentenza n. 308 del 29.07.2008 ha stabilito che a decisione circa l’assegnazione della casa coniugale anche nel caso di nuova convivenza non vada esclusa a priori ma debba essere considerata caso per caso tenendo conto del supremo interesse del minore.
Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione e con sentenza n. 15753 del 24.06.2013 ha stabilito che non perde il diritto all'assegnazione della casa coniugale l’ex coniuge comproprietario ed affidatario dei figli che conviva nell'abitazione con un nuovo compagno.
La Cassazione ha infatti stabilito che, nel caso di nuova convivenza, va sempre fatto prevalere l’interesse dei figli strettamente connesso “allo sviluppo psico-fisico di questi ultimi ed al tempo trascorso nella casa coniugale”.
Dunque, quando l’interesse dei figli lo richieda, il genitore che conviva con un nuovo compagno resta affidatario della casa coniugale.

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE IN ASSENZA DEI FIGLI

Al coniuge non proprietario dell’immobile non spetta generalmente il diritto all'assegnazione della casa coniugale.
Tuttavia, la questione di complica nel caso in cui il diritto di abitazione serva ad equilibrare i rapporti economici tra i coniugi ed a soddisfare l’eventuale diritto al mantenimento.
Alcuni giuridici ritengono che l’assegnazione della casa coniugale può essere richiesta al Giudice nell’ambito della domanda di mantenimento, ma presuppone un’esplicita istanza in mancanza della quale non sussiste in capo al Giudice stesso un dovere ed un potere di assegnarla.
La maggioranza dei giudici esclude tale possibilità, poiché ritiene che il diritto al mantenimento può essere soddisfatto solo quantificando la somma di denaro da versare, ed il giudice non può imporre al debitore di estinguere il suo obbligo con l’assegnazione dell’abitazione.
(Fonte: www.dirittierisposte.it)

CASA FAMILIARE GRAVANTE DA MUTUO IPOTECARIO

La sentenza n. 20139 del 3 settembre 2013 emessa dalla Corte di Cassazione, ha stabilito che il giudice può decidere autonomamente l'importo dell'assegno di mantenimento, svincolandosi così dalle precise richieste dei due ex coniugi. In pratica la somma da versare e le voci che comporranno questa somma saranno a discrezione del giudice incaricato.
Nel procedimento preso in esame, il Tribunale ha infatti stabilito alcune spese che l'assegno di mantenimento avrebbe dovuto coprire, e fra esse figura il mutuo per la casa che, sempre nel caso specifico, sarà coperto per la metà dell'importo dal coniuge obbligato al versamento dell'assegno.
Per la Cassazione non è stato un dato dirimente il fatto che la casa familiare fosse stata assegnata all'ex moglie, includendo ugualmente il pagamento della metà della rata del mutuo fra le spese dell'assegno di mantenimento. Naturalmente questo è un caso particolare ed ogni altro verrà vagliato in maniera indipendente.
Si dovrà però tenere conto del fatto che ormai la rata del mutuo non esula dall'assegno di mantenimento, ma che potrà esservi compresa venendo incontro alle necessità del coniuge economicamente più debole e svantaggiato.
(Fonte:http://miseparo.pianetadonna.it/soldi-e-casa/casa/assegno-mantenimento-coprira-rata-mutuo.html , consultato il 25 febbraio 2015)     





martedì 24 febbraio 2015

Stalking e violenza: ancora troppo silenzio


Stalking e violenza: ancora troppo silenzio

Scritto da Dott.ssa Simona Lauri - Psicologa Milano. Scritto in Donne e mamme 
 opuscolo realizzato all’interno di un progetto finanziato dalla Regione Siciliana e dall’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro, dal titolo  
"Stalking e violenza: ancora troppo silenzio, una proposta di intervento."

Le informazioni sono utili per gli ormai frequenti casi di stalking e violenza domestica subita dalle donne e dai minori.
ll tuo compagno/coniuge/fidanzato:
Ti chiama e/o ti invia insistentemente sms quando non siete insieme 
Ti chiede costantemente di dirgli dove vai, chi vedi e cosa fai 
Ti controlla economicamente e ti chiede come spendi i soldi 
Critica il tuo modo di vestire e pretende che tu cambi abbigliamento se a lui non piace

Quelli appena descritti sono tutti piccoli segnali, esistono poi delle vere e proprie strategie di controllo:
Al tuo compagno/coniuge/fidanzato non gli piace il fatto che hai delle amiche 
Non vuole che frequenti i tuoi famigliari 
Si infastidisce se rimani sola con altre persone 
Qualche volta ti ha rimproverato davanti ad altre persone 

Le strategie di controllo illustrate rappresentano tutta serie di comportamenti che mirano a creare una situazione di isolamento. A queste possono aggiungersi altre situazioni:
Ti mette paura, ti insulta o ti umilia 
Minaccia di farti togliere i bambini 
Minaccia di suicidarsi 
Ti sottrae i tuoi documenti più importanti 
Minaccia di fare del male ai tuoi famigliari 

Accanto a questi comportamenti e strategie, esistono anche vere e proprie azioni di intimidazione:
Ti ha picchiato, spintonato 
Ti ha obbligato ad avere rapporti sessuali 
Ha distrutto o buttato via oggetti/cose per te importanti 

Se ti accorgi, dunque, che il tuo uomo ti controlla, ti isola, ti intimidisce, ti minaccia e aggredisce: STAI SUBENDO VIOLENZA E SEI IN UNA SITUAZIONE DI RISCHIO.

Cosa fare?
Chiedere aiuto e denunciare i fatti. Rimanere nel silenzio non aiuta, può solo peggiorare le cose. Devi essere tu a fare il primo passo. La violenza contro le donne ed i bambini è un reato e in quanto tale va denunciato.
Una definizione di violenza contro le donne
“Qualsiasi azione di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio, danni o sofferenze  di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere atto simili azioni, la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata.” (2002 Consiglio di Europa).

ESISTONO DIVERSI TIPI DI VIOLENZA:
FISICA: Ogni forma di violenza contro la donna , il suo corpo, le sue proprietà. Esercita violenza fisica: chi ti spintona, rompe i tuoi oggetti personali, minaccia di toglierti i figli, ti schiaffeggia e ti picchia, ti dà calci, ti brucia con le sigarette, ti sequestra, ti impedisce di uscire o fuggire, etc... 
ECONOMICA: Ogni forma di privazione e/o controllo sull’autonomia economica della donna, che limita o impedisce alla donna stessa di disporre di denaro, di fare liberamente acquisti, di avere un proprio lavoro. Esempi di violenza economica sono: ti costringe a fare debiti, tenerti in una situazione di privazione continua, rifiutarsi di pagare un assegno di mantenimento, licenziarsi per non pagate gli alimenti, impedirti di lavorare o mantenere il tuo posto di lavoro. 
SESSUALE: Ogni imposizione di pratiche sessuali non desiderate sia da parte di estranei che di conoscenti e/o partner. Esempi: il partner ti impone comportamenti e rapporti sessuali contro il tuo desiderio, ti costringe ad utilizzare materiale pornografico, ad avere rapporti sessuali in presenza e con altre persone, ti insulta, umilia o brutalizza durante il rapporto. Tra le violenze sessuali rientrano anche: la tratta delle donne a scopo sessuale, le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati. 
PSICOLOGICA: Consiste in attacchi diretti a colpire la dignità personale della donna, forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti volti a ribadire continuamente lo stato di subordinazione e inferiorità della donna nei confronti dell’uomo. Esempi: sminuisce la tua femminilità e la sessualità, ti offende anche nel tuo ruolo materno, ti insulta, ti umilia, ti denigra anche in presenza di altri, ti controlla e ti isola da parenti e amici, minaccia te, i tuoi  figli e la tua famiglia di origine ,ti  fa sentire in colpa, etc.. 
STALKING: La violenza psicologica può manifestarsi tramite vere e proprie persecuzioni e molestie assillanti che hanno lo scopo di indurre la donna ad uno stato di allerta, di emergenza, di stress psicologico. Esempi: telefonate, sms, e-mail, continue visite indesiderate e anche, il pedinamento, la raccolta di informazioni sulla donna e sui suoi movimenti, la persecuzione, inoltre, può arrivare fino a vere e proprie minacce. Comunemente conosciuto come stalking (“appostarsi”), questo comportamento è attivato non solo da sconosciuti ma anche da familiari solitamente mossi dal risentimento o dalla paura di perdere il controllo sulla vita della donna. 

CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA
paura della violenza 
SULLE DONNE: La violenza e lo stalking procurano gravi conseguenze fisiche e/o psichiche, alcune con esiti fatali. Gli effetti più immediati consistono in ematomi, fratture e altro. La violenza implica un’invasione del sé, può annientare il proprio senso di sicurezza, la fiducia in sé stessa e negli altri, procura un senso di impotenza, passività, debolezza, ansia, isolamento, confusione, incapacità di prendere decisioni, paura generalizzata. La violenza e lo stato di stress conseguente possono influire inoltre sulla salute delle donne: disturbi ginecologici e gastrointestinali, dolori cronici, astenia cronica e cefalea persistente, depressione, attacchi di panico. 
SUI BAMBINI: Prende il nome di violenza assistita, la condizione a cui viene sottoposto il minore che assiste a qualunque atto di violenza fisica, verbale, economica agita contro la madre o altra figura familiare di riferimento: questi bambini e queste bambine denotano problemi di salute e di comportamento, tra cui disturbi del peso, di alimentazione e del sonno. Possono avere difficoltà a scuola e non riuscire a sviluppare relazioni intime e positive. Nei bambini si coglie un’interiorizzazione della violenza come modo di risolvere i conflitti. Nelle bambine una maggiore probabilità di accettare la violenza come norma.

sabato 21 febbraio 2015

La normativa sull'affido condiviso

La legge n. 54 del 2006 introduce l'istituto dell'affidamento condiviso con il cosiddetto "principio di bigenitorialità", il quale permette di mantenere inalterata la genitorialità di entrambi i genitori, tutelando la relazione genitoriale con i figli.
La legge sull'affidamento condiviso è stata ed è oggetto di critiche da parte di alcune associazioni e operatori del settore. In particolare, si è posto in evidenza come tale provvedimento possa portare all'esasperazione del conflitto coniugale ed il coinvolgimento della prole all'interno del conflitto stesso. 
Alcune fra dette associazioni (in particolare l'Associazione Donne Giuriste e l'Associazione Volontarie del Telefono Rosa) hanno ritenuto che questo genere di affido possa costituire uno strumento finalizzato a "controllare" le ex mogli ed i figli (Fonte: Wikipedia).
L'affidamento condiviso, che quindi si sostanzia nell'esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi e nella condivisione delle decisioni di maggior importanza riguardanti la sfera personale e patrimoniale del minore, non si pone più come evenienza residuale, bensì come regola generale alla quale oggi costituisce eccezione la soluzione dell'affidamento esclusivo.
Alla regola dell'affidamento condiviso può derogarsi solo qualora la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore". Non avendo il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all'affidamento condiviso, la loro individuazione è rimessa alla decisione del Giudice, da adottarsi con provvedimento motivato.
Sarà possibile derogare alla regola dell'affido condiviso, nel caso in cui il genitore si sia reso totalmente inadempiente agli obblighi derivanti dalla separazione, in primis di versamento del mantenimento ai figli e violazione del diritto di visita. 
Altra ipotesi è qualora l'affido condiviso sia nocivo per il minore e fonte di future patologie, in quanto generante ansia, confusione e tensione (Fonte: "I processi di separazione e divorzio" di F. Logoluso, ed. AdMaiora).
L'affidamento congiunto non fa gravare l'onere di provvedere ai bisogni del minore paritariamente sui genitori, come spesso uno dei due genitori cerca di far valere in sede giudiziaria. Secondo la Cassazione, la decisione sull'affidamento congiunto deve essere svincolata da considerazioni di carattere economico. Secondo la Corte, quindi, l'affidamento congiunto, ove disposto, non comporta necessariamente un "pari obbligo patrimoniale a carico dei figli", nel senso che ciascun genitore è tenuto a provvedere autonomamente e direttamente al loro mantenimento (Cass. 18/87/2006). 
La Cassazione intende quindi operare una distinzione netta tra i due profili di interesse del minore: quello "esistenziale", cui attiene l'affidamento congiunto, e quello strettamente economico, concernente anche il rapporto patrimoniale tra i due genitori e disciplinato dall'art. 144 comma 4 cod. civ., in forza del quale "salvo accordi diversi liberamente scritti dalle parti, ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito" (Fonte: diritto.it). 

Per contattare l'Avvocato Aprile in riferimento all'argomento trattato, anche solo per una prima consulenza, inviare una mail all'indirizzo avv.valeriaaprile@libero.it .


venerdì 20 febbraio 2015

Decadenza della potestà genitoriale

L'art. 330 del codice civile disciplina la decadenza della potestà genitoriale. Ai sensi del citato articolo, la decadenza della potestà genitoriale può essere dichiarata dal Giudice qualora uno dei genitori violi o trascuri i propri doveri nei confronti dei figli minori, ovvero non sia rispettato il precetto normativo contenuto nell'art. 147 del codice civile. 
Può accadere che il minore venga amato, educato e istruito, nonché mantenuto da uno solo dei genitori, mentre l'altro è sempre venuto meno a tali diritti/doveri, dimostrando nei suoi confronti un distacco ed una lontananza non solo fisica, ma soprattutto affettiva e morale, con grave pregiudizio per il minore. 
La potestà genitoriale non dà infatti vita ad un diritto soggettivo dei genitori, ma attribuisce ad essi un  officium, ossia un potere non discrezionale ma strumentale ad un adeguato svolgimento del processo educativo del minore, avendo il genitore un potere/dovere di cura, sostegno e vigilanza sullo stesso. 
Qualora uno dei genitori non assolva agli obblighi di cura e di presenza nella vita del minore, può disporsi l'affidamento esclusivo all'altro genitore (Tribunale dei minorenni di Messina, 29/01/2008), essendo sufficiente che oggettivamente si realizzi la violazione dei doveri genitoriali, con riflessi negativi sul minore (Tribunale dei minorenni di Torino, sentenza n. 4417/09).
Il ricorso ex art. 330 cod.civ. si propone dinanzi al Tribunale per i minorenni territorialmente competente. 

giovedì 5 febbraio 2015

Tutela e disciplina delle coppie di fatto

In Italia le coppie di fatto, ovvero le convivenze more uxorio, sono in crescente aumento. Nonostante il largo numero delle coppie che hanno costituito un vero e proprio nucleo, non legittimato dal vincolo civile o religioso del matrimonio, ancora non si è provveduto al riconoscimento di veri e propri diritti.
Tale situazione determina situazioni conflittuali nel momento in cui la convivenza cessa di esistere, soprattutto se dalla convivenza sono nati dei figli.
In questi casi, occorre ricorrere al tribunale dei minorenni competente per territorio, al fine di definire le modalità e i tempi di visita per il genitore ove non è collocato il minore.
La competenza del tribunale per i minorenni, però, non è esclusiva, in quanto per alcune problematiche è competente il giudice tutelare.
Le caratteristiche della famiglia di fatto possono essere così riassunte:
- la famiglia di fatto non ha una disciplina giuridica autonoma;
- per alcuni istituti si applicano le norme previste dal codice;
- tra i conviventi non sorgono diritti né doveri;
- diritti e doveri sorgono solo nei confronti dei figli verso i quali i genitori esercitano la responsabilità genitoriale;
- dal punto di vista patrimoniale, le reciproche obbligazioni rientrano nella disciplina delle obbligazioni morali, cioè quelle che si ritengono dovute in esecuzione di un dover morale o sociale;
- se la famiglia di fatto cessa per venir meno del rapporto, ciascun convivente non può rivendicare nulla dall'altro.

domenica 1 febbraio 2015

La tutela per il reato di stalking

La parola inglese stalking viene utilizzata per indicare un insieme di comportamenti messi in atto da un autore al fine di molestare la sue vittima. Spesso questo termine viene tradotto come molestie assillanti o atti persecutori.
Per prima cosa, le molestie devono essere ripetute nel tempo, quindi si deve trattare di più episodi, almeno tre, e non necessariamente dello stesso tipo, che si presentano in un arco di tempo limitato, circa 1-2 mesi.
È necessario che queste azioni non siano gradite dalla vittima e le suscitino sentimenti di preoccupazione e timore, per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine. Il disagio iniziale percepito dalla vittima, con il prolungarsi nel tempo delle molestie, può trasformarsi in vere e proprie patologie da stress post traumatico, come ansia e depressione e quindi necessitare di cure specifiche per essere superato.

Il decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009 ha introdotto nel c.p. l'art 612-bis, il quale recita:
"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante grave stato d'ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di donna in stato di gravidanza o di un soggetto con disabilità, ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi, o da persona travisata, o con scritto anonimo.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 delle legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio".

Dall'articolo si comprende che, per poter parlare di atti persecutori, sono necessari tre elementi costitutivi:
1)    l'autore deve compiere azioni di molestie o minacce nei confronti della vittima;
2)    le condotte devono essere ripetute nel tempo, non è sufficiente un unico atto;
3)   le condotte devono provocare nella vittima un grave disagio psichico ovvero farla temere per la propria vita o per quella di una persona vicina o comunque costringerla a modificare in maniera rilevante il modo di vivere.
Queste tre condizioni devono essere presenti contemporaneamente affinché si realizzi il reato.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, il massimo organo giudiziario italiano, ha precisato che "anche due soli episodi di minaccia o molestia possono valere ad integrare il reato di atti persecutori previsto dall'art. 612-bis del codice penale, se abbiano indotto un perdurante stato d'ansia o di paura nella vittima, che si sia vista costretta persino a modificare le proprie abitudini di vita" (Cassazione penale, sentenza n. 25527 del 2010).

L'ammonimento del questore
Prima di ricorrere alla giustizia penale denunciando il persecutore, l'ordinamento italiano prevede un altro strumento per dissuadere lo stalker dal proseguire le molestie.
L'ammonimento del questore è uno strumento che la vittima può attivare esponendo all'autorità di pubblica sicurezza i fatti e avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti del molestatore. Il questore, se necessario, assume le dovute informazioni e sente le persone informate dei fatti e, qualora ritenga fondate le lamentele della vittima, ammonisce oralmente il molestatore, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge.
Nel caso in cui, nonostante l'ammonimento del questore, il molestatore continui a perseguitare la vittima non solo potrà essere chiamato a rispondere penalmente per il reato di atti persecutori e per il quale in questo caso si procede d'ufficio (non è più necessaria una formale querela della vittima) ma lo stesso reato sarà punito più gravemente.
La finalità dell'ammonimento è quindi quella di evitare la reiterazione, anche più grave, delle condotte persecutorie senza dover ricorrere allo strumento penale.
Va ricordato che questo strumento può essere utilizzato solamente prima della formale denuncia/querela alle autorità.

Denunciare le persecuzioni
Al fine di sporgere denuncia per il reato di atti persecutori, è bene che la vittima abbia raccolto prove delle molestie e le presenti alle autorità. In assenza di esse infatti c'è il rischio che la vittima venga denunciata a sua volta dal presunto stalker per calunnia o che il fatto venga immediatamente archiviato per mancanza di prove.
Quindi, affinché la denuncia sia efficace, è consigliabile seguire alcuni accorgimenti:
-    documentare le molestie: data, ora, luogo e che cosa è accaduto;
-    conservare le prove di ogni contatto: biglietti, e-mail, sms, regali, ecc...;
-   in caso di molestie telefoniche meglio non cambiare numero, per evitare di esasperare lo stalker e peggiorare la situazione, e registrare tutte le chiamate (anche quelle mute), con una segreteria telefonica o altro mezzo.

Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa
La normativa in materia di atti persecutori ha introdotto anche una nuova misura cautelare, ossia una misura capace di impedire che il molestatore, una volta denunciato, possa continuare nel suo intento. È stato infatti inserito un nuovo articolo nel codice di procedura penale, l'art. 282 ter, secondo il quale il Giudice, qualora ritenga che vi siano tutti i presupposti di legge, può:
-    prescrivere al molestatore di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa oppure di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla stessa persona offesa;
- prescrivere al molestatore di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o tali persone;
-   vietare al molestare di comunicare, con qualsiasi mezzo, con la vittima o con le altre persone sopra indicate.

Di recente, inoltre, la Corte di Cassazione ha sottolineato che, nel caso in cui le molestie dovessero continuare nonostante la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, è possibile per il giudice applicare una misura cautelare ancor più grave come gli arresti domiciliari (Cassazione penale, sentenza n. 15230 del 14 aprile 2011).

(Fonte: Adoc Marche, Stalking: conoscerlo per difendersi! 


L'Avvocato Valeria Aprile, che ha già seguito casi di stalking conclusisi con il provvedimento di ammonimento del Questore nei confronti dello stalker, offre consulenza e assistenza legale per la fattispecie esaminata. 

venerdì 30 gennaio 2015

Rettificazione dei caratteri sessuali

Le norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso sono dettate dalla legge n. 164 del 14 aprile 1982 e, successivamente, dal DPR 3 marzo 2000 n. 396 in materia di ordinamento dello stato civile.
L'iter da seguire al fine di adeguare i propri caratteri sessuali inizia con la proposizione di un ricorso al tribunale competente. La competenza è determinata dalla residenza del ricorrente.
Nella prima fase del procedimento promosso con ricorso, il giudice, al fine di verificare la fondatezza della domanda, nomina un consulente tecnico d'ufficio.
Anche se difficile, si può cercare di ovviare alla nomina del consulente dimostrando al giudice la reale necessità del ricorrente di sottoporsi al trattamento chirurgico. A supporto è opportuno depositare la documentazione medica che certifichi il percorso seguito prima di arrivare alla presentazione della domanda.
All'esito della perizia del consulente d'ufficio, lo stesso perito in caso di esito positivo indicherà il trattamento al quale essere sottoposto. Si passa poi alla fase decisionale, nella quale il tribunale con sentenza autorizza l'intervento chirurgico.
Dopo aver eseguito l'intervento chirurgico ed avere quindi adeguato i propri caratteri sessuali, occorre ricorrere nuovamente al tribunale al fine di far accertare l'intervenuta modifica del 
sesso. 
Questa fase, che si apre sempre con ricorso, si svolge in camera di consiglio e termina con sentenza, con la quale il tribunale ordina all'ufficiale dello stato civile di modificare i propri dati personali.

L'Avvocato Valeria Aprile offre assistenza legale per i ricorsi di rettificazione dei caratteri sessuali da proporsi presso il Tribunale di Latina, Cassino e Roma. 

martedì 27 gennaio 2015

Condizioni e presupposti per la modifica dell'assegno di mantenimento

  
Una delle problematiche spesso affrontate tra coniugi in fase di separazione o divorzio, è la modifica dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice.
Va sottolineato che l'entità dell'assegno di mantenimento può essere soggetta a revisione sulla base di alcuni eventi modificativi della situazione economica esistente al tempo in cui è stato instaurato il procedimento di separazione o divorzio.
Quando, infatti, successivamente alla quantificazione dell'assegno di mantenimento, si verificano variazioni nella situazione economica, entrambi sono legittimati a richiedere una revisione dell'importo, al fine di ottenere un adeguamento alla mutata condizione. La variazione può comportare la modifica in aumento o in riduzione dell'assegno. 

"In proposito, la giurisprudenza, ha considerato legittima la richiesta di riduzione proporzionale dell'importo dell'assegno di mantenimento da parte del coniuge obbligato che abbia provato che il coniuge beneficiario abbia iniziato a svolgere una propria attività lavorativa percependo un proprio reddito, ovvero dimostrando che il coniuge avente diritto ha trovato impiego, anche se "in nero" (Cass. n. 19042/2003). Di converso, è stata riconosciuta valida la richiesta di aumento dell'assegno di mantenimento a favore dell'avente diritto che ha perduto la propria occupazione lavorativa (Cass. n. 4312/2012). Non vale, invece, a legittimare la riduzione dell'assegno, l'eventuale prepensionamento (anticipato) dell'avente diritto, in ragione della significativa differenza economica comunque esistente tra le rispettive condizioni patrimoniali (Cass. n. 4178/2013).
È possibile, altresì, la riduzione dell'assegno di mantenimento quando il coniuge obbligato subisca un peggioramento della propria capacità economica (ad esempio perdita del lavoro) o versi in condizioni di salute tali da comportare crescenti spese a suo carico per le cure destinate a contrastare l'avanzare delle patologie (Cass. n. 927/2014).
Nuovo nucleo familiare
Oltre alle modifiche in termini di reddito, un altro fatto idoneo a comportare una riduzione o un aumento dell'entità dell'assegno di mantenimento, rispetto alla sentenza di separazione e divorzio o agli accordi di separazione omologati, è costituito dalla costituzione di una nuova famiglia da parte del coniuge obbligato al pagamento in favore dell'altro coniuge e dei figli, ovvero dal fatto della nascita di un ulteriore figlio, generato con un nuovo partner in seguito ad una successiva unione, anche more uxorio. 
È pacifico che la costituzione del nuovo nucleo familiare, anche di fatto, non implica la sospensione o l'estinzione dei doveri di solidarietà e assistenza materiale stabiliti in sede di separazione. Tuttavia, tale circostanza, quando dalla nuova relazione derivi in concreto (ad esempio in presenza di figli) un peggioramento o un miglioramento delle condizioni patrimoniali del coniuge debitore, può determinare una revisione, in riduzione o in aumento, dell'importo dell'assegno di mantenimento. 
Secondo l'orientamento recente della giurisprudenza, per ragioni di tutela dei "rapporti all'interno della nuova famiglia" (Cass. n. 16789/2009), occorre tenere conto in tema di revisione dell'assegno di mantenimento dell'incidenza della costituzione del nuovo nucleo familiare, per cui laddove a sostegno della richiesta di riduzione dell'assegno, "siano allegati sopravvenuti oneri familiari dell'obbligato (derivanti, nella specie, dalla nascita di due figli, generati dalla successiva unione), il giudice deve verificare se detta sopravvenienza determini un effettivo depauperamento delle sue sostanze, facendo carico all'istante - in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti - di offrire un esauriente quadro in ordine alle proprie condizioni economico- patrimoniali" (Cass. n. 18367/2006). Analogo principio è stato affermato dalla giurisprudenza con riferimento ai figli, considerato che i nuovi oneri familiari dell'obbligato, derivanti anche dall'eventuale nascita di altri figli generati dalla successiva unione, possono incidere significativamente sulle sostanze o sulla capacità patrimoniale dell'obbligato stesso. A tal fine, pertanto, occorre una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti che tenga conto altresì delle potenzialità economiche della nuova famiglia formata dall'obbligato. In particolare, secondo la giurisprudenza, il nuovo onere familiare non può determinare un allentamento dei doveri genitoriali nei confronti dei diritti economici dei figli generati in costanza del precedente nucleo familiare, per cui se il contributo di mantenimento originariamente fissato nei loro confronti corrisponda ad un importo adeguato alle necessità degli stessi, ma inferiore all'esborso che le capacità patrimoniali dell'obbligato avrebbero consentito, non può essere disposta alcuna riduzione, semmai, il contributo potrebbe essere aumentato, trovando maggiore capienza in ragione del fatto sopravvenuto della diversa capacità economica dell'obbligato, valutata anchealla luce dell'apporto del nuovo partner (Cass. n. 1595/2008). 
In sede di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, nella valutazione comparativa delle rispettive condizioni economiche dei coniugi, il giudice dovrà tenere conto anche della circostanza della convivenza more uxorio dell'avente diritto con altro partner, poiché tale convivenza può incidere sulla sua reale situazione patrimoniale. 
Il formarsi di una relazione familiare affidabile e stabile del coniuge creditore potrà quindi legittimare la richiesta di riduzione dell'assegno di mantenimento, se ciò incide positivamente sulla concreta situazione economica dello stesso, purchè si tratti di una unione stabile, continua e regolare (Cass. n. 17195/2011). 


Le aumentate esigenze dei figli
Tra i criteri fondamentali per la quantificazione del contributo di mantenimento a favore della prole, la legge attribuisce preminenza alle "attuali esigenze del figlio" (ex art. 337-ter c.c., novellato dal d. lgs. n. 154/2013), rapportate al concreto contesto sociale e patrimoniale dei genitori e collegate ad un autonomo e compiuto sviluppo psicofisico che in ragione del trascorrere dell'età, può determinare oltre ai bisogni alimentari e abitativi anche accresciute esigenze personali, di relazione, scolastiche, sportive, sociali, ludiche (ecc.) (Cass. n. 23630/2009). 
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l'aumento delle esigenze del figlio: "è notoriamente legato alla crescita e allo sviluppo della sua personalità" (Cass. n. 2191/2009), non ha bisogno di specifica dimostrazione (Cass. n. 17055/2007), legittimando di per sé la revisione dell'assegno di mantenimento, anche in mancanza di miglioramenti reddituali e patrimoniali del coniuge tenuto alla contribuzione, a condizione, tuttavia, che l'incremento del contributo di mantenimento, trovi capienza nelle "disponibilità patrimoniali dell'onerato" (Cass. n. 400/2010).

Procedimento ex art. 710 c.p.c.
La revisione dell'assegno non è automatica, ma richiede un provvedimento del giudice. Ex art. 710 c.p.c., le parti possono ricorrere al tribunale per chiedere la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione. Il giudice, sentite le parti, provvede all'eventuale ammissione di mezzi istruttori e dispone con sentenza l'aumento o la diminuzione del quantum dell'assegno dovuto. È opportuno sottolineare come la concessione della riduzione (o della maggiorazione) dell'assegno,non comporta il diritto alla restituzione di quanto versato in precedenza (Cass. n. 23441/2013)".

(Fonte: http://www.studiocataldi.it/guide_legali/assegno-di-mantenimento/la-revisione-dell-assegno-di-mantenimento.asp )

sabato 24 gennaio 2015

La nuova riforma del divorzio

Finalmente anche in italia è stato varato dalla Camera dei deputati, nella seduta del 29 maggio 2014, il testo unificato che modifica la legge sul divorzio n. 898/1970, che renderà più veloce e snella la procedura per giungere alla pronuncia di divorzio. 
In tal modo, non solo sono stati modificati i presupposti per la proposizione della domanda di scioglimento del matrimonio, ma si sono sensibilmente ridotti i tempi che devono trascorrere dal procedimento di separazione. 
A differenza di quanto sino ad ora previsto, per la proposizione della domanda di divorzio è necessario che siano trascorsi 6 mesi dalla comparizione dei coniugi davanti al presidente del tribunale in caso di separazione consensuale e 12 mesi nell'ipotesi di separazione giudiziale.

Il testo unificato modifica la legge sul divorzio (n. 898/1970) laddove (art. 3) attualmente prevede che:
• lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi nel caso in cui sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi ovvero è stata omologata la separazione consensuale; 
• ai fini della proposizione della domanda di divorzio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno tre anni, a decorrere dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.
Le modifiche introdotte dall'art. 1 del testo approvato: 
• riducono a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio, nel caso di separazione giudiziale; tale termine decorre dalla notificazione della domanda di separazione; 
• riducono, inoltre, a sei mesi il periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che permette la proposizione della domanda di divorzio nel caso in cui la separazione sia consensuale; in tale caso, il termine di sei mesi decorre dalla data di deposito del ricorso oppure dalla data della sua notificazione qualora il ricorso sia presentato da uno solo dei coniugi; 
• prevedono che, se alla data di instaurazione del giudizio di divorzio sia ancora pendente la causa di separazione in relazione alle domande accessorie, la causa debba essere assegnata al giudice della separazione personale. 
Inoltre, il testo modifica l'art. 189 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. che attualmente stabilisce che l'ordinanza con cui il presidente del tribunale o il giudice istruttore, in sede di udienza di comparizione per separazione personale, adotta i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei figli e dei coniugi, conserva efficacia anche dopo l'estinzione del processo, fino a che non sia sostituita da altro provvedimento emesso a seguito di nuovo ricorso per separazione personale. La modifica introdotta prevede la conservazione dell'efficacia dei provvedimenti anche a seguito di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio. 
E' poi modificato l'art. 191 del codice civile, relativo allo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. 
Lo scioglimento della comunione dei beni è anticipato: 
• al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati; 
• ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale, se omologato. E' inoltre stabilito che, qualora i coniugi siano in regime di comunione legale, la domanda di separazione è comunicata all'ufficio dello stato civile ai fini dell'annotazione a margine dell'atto di matrimonio.
L'ordinanza presidenziale con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione. La domanda di divisione della comunione legale tra i coniugi può essere introdotta unitamente alla domanda di separazione o di divorzio (attualmente, presupposto della domanda di divisione è la pronuncia definitiva di separazione per cui, prima di tale momento, manca il titolo per richiederla). 
In fine, in base alla disciplina transitoria prevista dal provvedimento, i nuovi termini ridotti di separazione per la proposizione della domanda di divorzio si applicano alle domande di divorzio proposte dopo la data di entrata in vigore del provvedimento in esame, anche in caso di pendenza alla stessa data del procedimento di separazione personale.  
(Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2014-05-30/divorzio-breve-contenuti-testo-unificato-approvato-camera-110838.shtml?uuid=ABBWkPMB)