mercoledì 25 febbraio 2015

L'assegnazione della casa coniugale nei giudizi di separazione e divorzio


Nei giudizi di separazione e divorzio, oltre agli aspetti economici relativi alla determinazione dell’assegno di mantenimento, questione di rilevante importanza riguarda il provvedimento di assegnazione della casa coniugale.
Per casa familiare si intende l’abitazione in cui la famiglia effettivamente abiti in modo continuativo, ovvero quell'abitazione che presenta le caratteristiche della abitualità, stabilità e continuità.
La Corte di Cassazione ha stabilito che l’art. 155 quater cod. civ., nello stabilire che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, risponde al’esigenza, prevalente su ogni altra, di conservare ai figli di coniugi separati l’habitat domestico da intendersi come centro degli affetti, degli interessi e consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare ed a tale ratio devono ispirarsi anche le determinazioni sula revoca dell’assegnazione della casa familiare. (Cass. civ. Sez. I, 9 agosto 2012, n. 14348, in Il caso.it, 2012).
La regola generale è la tutela dell’interesse dei figli, ovvero garantire loro la conservazione dell’ambiente domestico, ovvero il quartiere dove vive, la scuola, le amicizie e quant'altro rientri nelle proprie abitudini quotidiane.


ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E NUOVA CONVIVENZA

L’art. 155 cod.civ. prevede che il diritto alla casa familiare viene meno quando l’assegnatario:
- non abiti più o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare;
- oppure conviva di fatto con altra persona o contragga nuovo matrimonio.
Questa norma però, è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che con sentenza n. 308 del 29.07.2008 ha stabilito che a decisione circa l’assegnazione della casa coniugale anche nel caso di nuova convivenza non vada esclusa a priori ma debba essere considerata caso per caso tenendo conto del supremo interesse del minore.
Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione e con sentenza n. 15753 del 24.06.2013 ha stabilito che non perde il diritto all'assegnazione della casa coniugale l’ex coniuge comproprietario ed affidatario dei figli che conviva nell'abitazione con un nuovo compagno.
La Cassazione ha infatti stabilito che, nel caso di nuova convivenza, va sempre fatto prevalere l’interesse dei figli strettamente connesso “allo sviluppo psico-fisico di questi ultimi ed al tempo trascorso nella casa coniugale”.
Dunque, quando l’interesse dei figli lo richieda, il genitore che conviva con un nuovo compagno resta affidatario della casa coniugale.

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE IN ASSENZA DEI FIGLI

Al coniuge non proprietario dell’immobile non spetta generalmente il diritto all'assegnazione della casa coniugale.
Tuttavia, la questione di complica nel caso in cui il diritto di abitazione serva ad equilibrare i rapporti economici tra i coniugi ed a soddisfare l’eventuale diritto al mantenimento.
Alcuni giuridici ritengono che l’assegnazione della casa coniugale può essere richiesta al Giudice nell’ambito della domanda di mantenimento, ma presuppone un’esplicita istanza in mancanza della quale non sussiste in capo al Giudice stesso un dovere ed un potere di assegnarla.
La maggioranza dei giudici esclude tale possibilità, poiché ritiene che il diritto al mantenimento può essere soddisfatto solo quantificando la somma di denaro da versare, ed il giudice non può imporre al debitore di estinguere il suo obbligo con l’assegnazione dell’abitazione.
(Fonte: www.dirittierisposte.it)

CASA FAMILIARE GRAVANTE DA MUTUO IPOTECARIO

La sentenza n. 20139 del 3 settembre 2013 emessa dalla Corte di Cassazione, ha stabilito che il giudice può decidere autonomamente l'importo dell'assegno di mantenimento, svincolandosi così dalle precise richieste dei due ex coniugi. In pratica la somma da versare e le voci che comporranno questa somma saranno a discrezione del giudice incaricato.
Nel procedimento preso in esame, il Tribunale ha infatti stabilito alcune spese che l'assegno di mantenimento avrebbe dovuto coprire, e fra esse figura il mutuo per la casa che, sempre nel caso specifico, sarà coperto per la metà dell'importo dal coniuge obbligato al versamento dell'assegno.
Per la Cassazione non è stato un dato dirimente il fatto che la casa familiare fosse stata assegnata all'ex moglie, includendo ugualmente il pagamento della metà della rata del mutuo fra le spese dell'assegno di mantenimento. Naturalmente questo è un caso particolare ed ogni altro verrà vagliato in maniera indipendente.
Si dovrà però tenere conto del fatto che ormai la rata del mutuo non esula dall'assegno di mantenimento, ma che potrà esservi compresa venendo incontro alle necessità del coniuge economicamente più debole e svantaggiato.
(Fonte:http://miseparo.pianetadonna.it/soldi-e-casa/casa/assegno-mantenimento-coprira-rata-mutuo.html , consultato il 25 febbraio 2015)     





martedì 24 febbraio 2015

Stalking e violenza: ancora troppo silenzio


Stalking e violenza: ancora troppo silenzio

Scritto da Dott.ssa Simona Lauri - Psicologa Milano. Scritto in Donne e mamme 
 opuscolo realizzato all’interno di un progetto finanziato dalla Regione Siciliana e dall’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro, dal titolo  
"Stalking e violenza: ancora troppo silenzio, una proposta di intervento."

Le informazioni sono utili per gli ormai frequenti casi di stalking e violenza domestica subita dalle donne e dai minori.
ll tuo compagno/coniuge/fidanzato:
Ti chiama e/o ti invia insistentemente sms quando non siete insieme 
Ti chiede costantemente di dirgli dove vai, chi vedi e cosa fai 
Ti controlla economicamente e ti chiede come spendi i soldi 
Critica il tuo modo di vestire e pretende che tu cambi abbigliamento se a lui non piace

Quelli appena descritti sono tutti piccoli segnali, esistono poi delle vere e proprie strategie di controllo:
Al tuo compagno/coniuge/fidanzato non gli piace il fatto che hai delle amiche 
Non vuole che frequenti i tuoi famigliari 
Si infastidisce se rimani sola con altre persone 
Qualche volta ti ha rimproverato davanti ad altre persone 

Le strategie di controllo illustrate rappresentano tutta serie di comportamenti che mirano a creare una situazione di isolamento. A queste possono aggiungersi altre situazioni:
Ti mette paura, ti insulta o ti umilia 
Minaccia di farti togliere i bambini 
Minaccia di suicidarsi 
Ti sottrae i tuoi documenti più importanti 
Minaccia di fare del male ai tuoi famigliari 

Accanto a questi comportamenti e strategie, esistono anche vere e proprie azioni di intimidazione:
Ti ha picchiato, spintonato 
Ti ha obbligato ad avere rapporti sessuali 
Ha distrutto o buttato via oggetti/cose per te importanti 

Se ti accorgi, dunque, che il tuo uomo ti controlla, ti isola, ti intimidisce, ti minaccia e aggredisce: STAI SUBENDO VIOLENZA E SEI IN UNA SITUAZIONE DI RISCHIO.

Cosa fare?
Chiedere aiuto e denunciare i fatti. Rimanere nel silenzio non aiuta, può solo peggiorare le cose. Devi essere tu a fare il primo passo. La violenza contro le donne ed i bambini è un reato e in quanto tale va denunciato.
Una definizione di violenza contro le donne
“Qualsiasi azione di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio, danni o sofferenze  di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere atto simili azioni, la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata.” (2002 Consiglio di Europa).

ESISTONO DIVERSI TIPI DI VIOLENZA:
FISICA: Ogni forma di violenza contro la donna , il suo corpo, le sue proprietà. Esercita violenza fisica: chi ti spintona, rompe i tuoi oggetti personali, minaccia di toglierti i figli, ti schiaffeggia e ti picchia, ti dà calci, ti brucia con le sigarette, ti sequestra, ti impedisce di uscire o fuggire, etc... 
ECONOMICA: Ogni forma di privazione e/o controllo sull’autonomia economica della donna, che limita o impedisce alla donna stessa di disporre di denaro, di fare liberamente acquisti, di avere un proprio lavoro. Esempi di violenza economica sono: ti costringe a fare debiti, tenerti in una situazione di privazione continua, rifiutarsi di pagare un assegno di mantenimento, licenziarsi per non pagate gli alimenti, impedirti di lavorare o mantenere il tuo posto di lavoro. 
SESSUALE: Ogni imposizione di pratiche sessuali non desiderate sia da parte di estranei che di conoscenti e/o partner. Esempi: il partner ti impone comportamenti e rapporti sessuali contro il tuo desiderio, ti costringe ad utilizzare materiale pornografico, ad avere rapporti sessuali in presenza e con altre persone, ti insulta, umilia o brutalizza durante il rapporto. Tra le violenze sessuali rientrano anche: la tratta delle donne a scopo sessuale, le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati. 
PSICOLOGICA: Consiste in attacchi diretti a colpire la dignità personale della donna, forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti volti a ribadire continuamente lo stato di subordinazione e inferiorità della donna nei confronti dell’uomo. Esempi: sminuisce la tua femminilità e la sessualità, ti offende anche nel tuo ruolo materno, ti insulta, ti umilia, ti denigra anche in presenza di altri, ti controlla e ti isola da parenti e amici, minaccia te, i tuoi  figli e la tua famiglia di origine ,ti  fa sentire in colpa, etc.. 
STALKING: La violenza psicologica può manifestarsi tramite vere e proprie persecuzioni e molestie assillanti che hanno lo scopo di indurre la donna ad uno stato di allerta, di emergenza, di stress psicologico. Esempi: telefonate, sms, e-mail, continue visite indesiderate e anche, il pedinamento, la raccolta di informazioni sulla donna e sui suoi movimenti, la persecuzione, inoltre, può arrivare fino a vere e proprie minacce. Comunemente conosciuto come stalking (“appostarsi”), questo comportamento è attivato non solo da sconosciuti ma anche da familiari solitamente mossi dal risentimento o dalla paura di perdere il controllo sulla vita della donna. 

CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA
paura della violenza 
SULLE DONNE: La violenza e lo stalking procurano gravi conseguenze fisiche e/o psichiche, alcune con esiti fatali. Gli effetti più immediati consistono in ematomi, fratture e altro. La violenza implica un’invasione del sé, può annientare il proprio senso di sicurezza, la fiducia in sé stessa e negli altri, procura un senso di impotenza, passività, debolezza, ansia, isolamento, confusione, incapacità di prendere decisioni, paura generalizzata. La violenza e lo stato di stress conseguente possono influire inoltre sulla salute delle donne: disturbi ginecologici e gastrointestinali, dolori cronici, astenia cronica e cefalea persistente, depressione, attacchi di panico. 
SUI BAMBINI: Prende il nome di violenza assistita, la condizione a cui viene sottoposto il minore che assiste a qualunque atto di violenza fisica, verbale, economica agita contro la madre o altra figura familiare di riferimento: questi bambini e queste bambine denotano problemi di salute e di comportamento, tra cui disturbi del peso, di alimentazione e del sonno. Possono avere difficoltà a scuola e non riuscire a sviluppare relazioni intime e positive. Nei bambini si coglie un’interiorizzazione della violenza come modo di risolvere i conflitti. Nelle bambine una maggiore probabilità di accettare la violenza come norma.

sabato 21 febbraio 2015

La normativa sull'affido condiviso

La legge n. 54 del 2006 introduce l'istituto dell'affidamento condiviso con il cosiddetto "principio di bigenitorialità", il quale permette di mantenere inalterata la genitorialità di entrambi i genitori, tutelando la relazione genitoriale con i figli.
La legge sull'affidamento condiviso è stata ed è oggetto di critiche da parte di alcune associazioni e operatori del settore. In particolare, si è posto in evidenza come tale provvedimento possa portare all'esasperazione del conflitto coniugale ed il coinvolgimento della prole all'interno del conflitto stesso. 
Alcune fra dette associazioni (in particolare l'Associazione Donne Giuriste e l'Associazione Volontarie del Telefono Rosa) hanno ritenuto che questo genere di affido possa costituire uno strumento finalizzato a "controllare" le ex mogli ed i figli (Fonte: Wikipedia).
L'affidamento condiviso, che quindi si sostanzia nell'esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi e nella condivisione delle decisioni di maggior importanza riguardanti la sfera personale e patrimoniale del minore, non si pone più come evenienza residuale, bensì come regola generale alla quale oggi costituisce eccezione la soluzione dell'affidamento esclusivo.
Alla regola dell'affidamento condiviso può derogarsi solo qualora la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore". Non avendo il legislatore ritenuto di tipizzare le circostanze ostative all'affidamento condiviso, la loro individuazione è rimessa alla decisione del Giudice, da adottarsi con provvedimento motivato.
Sarà possibile derogare alla regola dell'affido condiviso, nel caso in cui il genitore si sia reso totalmente inadempiente agli obblighi derivanti dalla separazione, in primis di versamento del mantenimento ai figli e violazione del diritto di visita. 
Altra ipotesi è qualora l'affido condiviso sia nocivo per il minore e fonte di future patologie, in quanto generante ansia, confusione e tensione (Fonte: "I processi di separazione e divorzio" di F. Logoluso, ed. AdMaiora).
L'affidamento congiunto non fa gravare l'onere di provvedere ai bisogni del minore paritariamente sui genitori, come spesso uno dei due genitori cerca di far valere in sede giudiziaria. Secondo la Cassazione, la decisione sull'affidamento congiunto deve essere svincolata da considerazioni di carattere economico. Secondo la Corte, quindi, l'affidamento congiunto, ove disposto, non comporta necessariamente un "pari obbligo patrimoniale a carico dei figli", nel senso che ciascun genitore è tenuto a provvedere autonomamente e direttamente al loro mantenimento (Cass. 18/87/2006). 
La Cassazione intende quindi operare una distinzione netta tra i due profili di interesse del minore: quello "esistenziale", cui attiene l'affidamento congiunto, e quello strettamente economico, concernente anche il rapporto patrimoniale tra i due genitori e disciplinato dall'art. 144 comma 4 cod. civ., in forza del quale "salvo accordi diversi liberamente scritti dalle parti, ciascun genitore provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito" (Fonte: diritto.it). 

Per contattare l'Avvocato Aprile in riferimento all'argomento trattato, anche solo per una prima consulenza, inviare una mail all'indirizzo avv.valeriaaprile@libero.it .


venerdì 20 febbraio 2015

Decadenza della potestà genitoriale

L'art. 330 del codice civile disciplina la decadenza della potestà genitoriale. Ai sensi del citato articolo, la decadenza della potestà genitoriale può essere dichiarata dal Giudice qualora uno dei genitori violi o trascuri i propri doveri nei confronti dei figli minori, ovvero non sia rispettato il precetto normativo contenuto nell'art. 147 del codice civile. 
Può accadere che il minore venga amato, educato e istruito, nonché mantenuto da uno solo dei genitori, mentre l'altro è sempre venuto meno a tali diritti/doveri, dimostrando nei suoi confronti un distacco ed una lontananza non solo fisica, ma soprattutto affettiva e morale, con grave pregiudizio per il minore. 
La potestà genitoriale non dà infatti vita ad un diritto soggettivo dei genitori, ma attribuisce ad essi un  officium, ossia un potere non discrezionale ma strumentale ad un adeguato svolgimento del processo educativo del minore, avendo il genitore un potere/dovere di cura, sostegno e vigilanza sullo stesso. 
Qualora uno dei genitori non assolva agli obblighi di cura e di presenza nella vita del minore, può disporsi l'affidamento esclusivo all'altro genitore (Tribunale dei minorenni di Messina, 29/01/2008), essendo sufficiente che oggettivamente si realizzi la violazione dei doveri genitoriali, con riflessi negativi sul minore (Tribunale dei minorenni di Torino, sentenza n. 4417/09).
Il ricorso ex art. 330 cod.civ. si propone dinanzi al Tribunale per i minorenni territorialmente competente. 

giovedì 5 febbraio 2015

Tutela e disciplina delle coppie di fatto

In Italia le coppie di fatto, ovvero le convivenze more uxorio, sono in crescente aumento. Nonostante il largo numero delle coppie che hanno costituito un vero e proprio nucleo, non legittimato dal vincolo civile o religioso del matrimonio, ancora non si è provveduto al riconoscimento di veri e propri diritti.
Tale situazione determina situazioni conflittuali nel momento in cui la convivenza cessa di esistere, soprattutto se dalla convivenza sono nati dei figli.
In questi casi, occorre ricorrere al tribunale dei minorenni competente per territorio, al fine di definire le modalità e i tempi di visita per il genitore ove non è collocato il minore.
La competenza del tribunale per i minorenni, però, non è esclusiva, in quanto per alcune problematiche è competente il giudice tutelare.
Le caratteristiche della famiglia di fatto possono essere così riassunte:
- la famiglia di fatto non ha una disciplina giuridica autonoma;
- per alcuni istituti si applicano le norme previste dal codice;
- tra i conviventi non sorgono diritti né doveri;
- diritti e doveri sorgono solo nei confronti dei figli verso i quali i genitori esercitano la responsabilità genitoriale;
- dal punto di vista patrimoniale, le reciproche obbligazioni rientrano nella disciplina delle obbligazioni morali, cioè quelle che si ritengono dovute in esecuzione di un dover morale o sociale;
- se la famiglia di fatto cessa per venir meno del rapporto, ciascun convivente non può rivendicare nulla dall'altro.

domenica 1 febbraio 2015

La tutela per il reato di stalking

La parola inglese stalking viene utilizzata per indicare un insieme di comportamenti messi in atto da un autore al fine di molestare la sue vittima. Spesso questo termine viene tradotto come molestie assillanti o atti persecutori.
Per prima cosa, le molestie devono essere ripetute nel tempo, quindi si deve trattare di più episodi, almeno tre, e non necessariamente dello stesso tipo, che si presentano in un arco di tempo limitato, circa 1-2 mesi.
È necessario che queste azioni non siano gradite dalla vittima e le suscitino sentimenti di preoccupazione e timore, per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine. Il disagio iniziale percepito dalla vittima, con il prolungarsi nel tempo delle molestie, può trasformarsi in vere e proprie patologie da stress post traumatico, come ansia e depressione e quindi necessitare di cure specifiche per essere superato.

Il decreto legge n. 11 del 23 febbraio 2009 ha introdotto nel c.p. l'art 612-bis, il quale recita:
"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante grave stato d'ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di donna in stato di gravidanza o di un soggetto con disabilità, ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi, o da persona travisata, o con scritto anonimo.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 delle legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio".

Dall'articolo si comprende che, per poter parlare di atti persecutori, sono necessari tre elementi costitutivi:
1)    l'autore deve compiere azioni di molestie o minacce nei confronti della vittima;
2)    le condotte devono essere ripetute nel tempo, non è sufficiente un unico atto;
3)   le condotte devono provocare nella vittima un grave disagio psichico ovvero farla temere per la propria vita o per quella di una persona vicina o comunque costringerla a modificare in maniera rilevante il modo di vivere.
Queste tre condizioni devono essere presenti contemporaneamente affinché si realizzi il reato.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, il massimo organo giudiziario italiano, ha precisato che "anche due soli episodi di minaccia o molestia possono valere ad integrare il reato di atti persecutori previsto dall'art. 612-bis del codice penale, se abbiano indotto un perdurante stato d'ansia o di paura nella vittima, che si sia vista costretta persino a modificare le proprie abitudini di vita" (Cassazione penale, sentenza n. 25527 del 2010).

L'ammonimento del questore
Prima di ricorrere alla giustizia penale denunciando il persecutore, l'ordinamento italiano prevede un altro strumento per dissuadere lo stalker dal proseguire le molestie.
L'ammonimento del questore è uno strumento che la vittima può attivare esponendo all'autorità di pubblica sicurezza i fatti e avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti del molestatore. Il questore, se necessario, assume le dovute informazioni e sente le persone informate dei fatti e, qualora ritenga fondate le lamentele della vittima, ammonisce oralmente il molestatore, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge.
Nel caso in cui, nonostante l'ammonimento del questore, il molestatore continui a perseguitare la vittima non solo potrà essere chiamato a rispondere penalmente per il reato di atti persecutori e per il quale in questo caso si procede d'ufficio (non è più necessaria una formale querela della vittima) ma lo stesso reato sarà punito più gravemente.
La finalità dell'ammonimento è quindi quella di evitare la reiterazione, anche più grave, delle condotte persecutorie senza dover ricorrere allo strumento penale.
Va ricordato che questo strumento può essere utilizzato solamente prima della formale denuncia/querela alle autorità.

Denunciare le persecuzioni
Al fine di sporgere denuncia per il reato di atti persecutori, è bene che la vittima abbia raccolto prove delle molestie e le presenti alle autorità. In assenza di esse infatti c'è il rischio che la vittima venga denunciata a sua volta dal presunto stalker per calunnia o che il fatto venga immediatamente archiviato per mancanza di prove.
Quindi, affinché la denuncia sia efficace, è consigliabile seguire alcuni accorgimenti:
-    documentare le molestie: data, ora, luogo e che cosa è accaduto;
-    conservare le prove di ogni contatto: biglietti, e-mail, sms, regali, ecc...;
-   in caso di molestie telefoniche meglio non cambiare numero, per evitare di esasperare lo stalker e peggiorare la situazione, e registrare tutte le chiamate (anche quelle mute), con una segreteria telefonica o altro mezzo.

Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa
La normativa in materia di atti persecutori ha introdotto anche una nuova misura cautelare, ossia una misura capace di impedire che il molestatore, una volta denunciato, possa continuare nel suo intento. È stato infatti inserito un nuovo articolo nel codice di procedura penale, l'art. 282 ter, secondo il quale il Giudice, qualora ritenga che vi siano tutti i presupposti di legge, può:
-    prescrivere al molestatore di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa oppure di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla stessa persona offesa;
- prescrivere al molestatore di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dai prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o tali persone;
-   vietare al molestare di comunicare, con qualsiasi mezzo, con la vittima o con le altre persone sopra indicate.

Di recente, inoltre, la Corte di Cassazione ha sottolineato che, nel caso in cui le molestie dovessero continuare nonostante la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, è possibile per il giudice applicare una misura cautelare ancor più grave come gli arresti domiciliari (Cassazione penale, sentenza n. 15230 del 14 aprile 2011).

(Fonte: Adoc Marche, Stalking: conoscerlo per difendersi! 


L'Avvocato Valeria Aprile, che ha già seguito casi di stalking conclusisi con il provvedimento di ammonimento del Questore nei confronti dello stalker, offre consulenza e assistenza legale per la fattispecie esaminata.