venerdì 27 marzo 2015

La violenza psicologica

Troppe volte si cade nell’errore di considerare la violenza fisica l’unica forma di violenza a cui è soggetta una donna, forse perché è quella più facile da dimostrare.
C’è invece un’altra forma di violenza più grave perché avviene in maniera subdola, difficile da riconoscere e da provare, ed è la violenza psicologica.
Il GASLIGHTING è un insieme di comportamenti posti in essere nei confronti di una persona per confonderla, farle perdere la fiducia in se stessa, farla sentire sbagliata, renderla dipendente fino a farla dubitare della sua sanità mentale.
Scopo di un tale atteggiamento è rendere la persona insicura sicchè si possa avere un totale controllo sulla vita di quest’ultima.
Le umiliazioni spesso riguardano il modo di essere della persona che viene denigrata in ogni momento della propria quotidianità mettendo in discussione il ruolo che la donna occupa ritenendola sempre inidonea ed inutile.
Oltre a frasi offensive ed umilianti, che con il trascorrere del tempo rendono la donna sempre più insicura e dipendente dal partner, il controllo avviene cercando di allontanare la persona dalla propria famiglia, dalle proprie amicizie, impedendole di lavorare o praticare sport.
A volte anche per non mostrare il disagio che si prova la donna preferisce non confidarsi con nessuno e chiudersi in se stessa.
UMILIARE, SVILIRE, RIDICOLIZZARE, costituiscono atti peculiari alla violenza psicologica.
La donna che subisce atti di vilenza psicologica spesso entra nella convinzione di essere realmente inadeguata, e finisce per affidarsi totalmente al volere dell’altro che condiziona ogni sua scelta.
A volte invece si ha la forza di reagire riacquistando la propria autostima, e questo repentino cambiamento determina nell’altro una reazione che può essere anche violenta. 
Per riconoscere se si sta subendo effettivamente una forma di violenza psicologica, è necessario che i comportamenti illustrati siano ripetitivi e protratti nel tempo.
La ripetitività ed il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo a livello psicologico.
Dimostrare la violenza psicologica è cosa difficile perché non esistono confini determinati per valutarla e la stessa azione può essere valutata in maniera differente a seconda della persona che la valuta, ma non è cosa impossibile se si chiede l’aiuto di figure professionali idonee.
Sarebbero necessarie iniziative in cui illustrare i casi in cui si è vittima di violenza psicologica, allo scopo di prevenire il rischio di diventarne vittime.
In ogni caso tale comportamento è punibile, anche se spesso è difficile ricevere tutela senza prove.
Ma la denuncia è l’unico strumento di difesa anche al fine di determinare l’allontanamento dello gashlighter.
Lo studio legale Aprile, con l’ausilio di psicologhe e psicoterapeutiche, è disponibile ad accompagnare chiunque ritenga di essere vittima di violenza psicologica durante tutto il percorso legale e psicologico necessario al raggiungimento della punizione del colpevole.

domenica 8 marzo 2015

Le cause estintive del diritto al mantenimento

L’assegno di mantenimento ha la finalità di tutelare i figli ed il coniuge economicamente più debole garantendo, a seguito della separazione o del divorzio, l'adempimento dei doveri assistenziali e solidaristici nascenti dal matrimonio, garantendo il mantenimento delle condizioni economiche ed il tenore di vita esistenti in costanza di matrimonio.
L’assegno, però, non è immutabile nel tempo ma può essere modificato o revocato al variare delle condizioni economiche dell’avente diritto.
L’obbligo dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli permane, indipendentemente da raggiungimento della maggiore età, fino al raggiungimento della autosufficienza economica tale da poter provvedere da soli alle proprie esigenze con la percezione “di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato” (Cass. n. 20137/2013).
E’indirizzo costante ed uniforme della giurisprudenza che i genitore che voglia far valere la cessazione del diritto al mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne debba provare che la mancata autosufficienza derivi dall’inerzia o dalla negligenza dello stesso ovvero dipenda da fatto a lui imputabile (Cass. n. 7970/2013).
Mentre non rileva ai fini dell’esclusione dell’assegno la costituzione, da parte del figlio maggiorenne, di un nucleo familiare, salvo che non si tratti di “una nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente” (Cass. n. 1830/2011).

Riguardo al mantenimento dell’ex coniuge le cause estintive del diritto possono essere così elencate:

a) addebito della separazione.
L’addebito viene pronunciato dal Giudice quando la separazione è stata determinata dal comportamento di uno dei coniugi contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (violazione dell’obbligo di fedeltà, coabitazione, assistenza…).
La pronuncia dell’addebito determina la perdita del diritto all’assegno di mantenimento ex art. 156 I° comma c.c., oltre alla perdita dei diritti successori nei confronti del’altro coniuge.

b) redditi propri e capacità di spesa.
Il presupposto dell’assegno di mantenimento è a mancanza di adeguati redditi propri ovvero non solo l’assenza di alcun tipo di reddito ma anche la titolarità di redditi che non consentono di mantenere un tenore di vota analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Le capacità lavorative del coniuge o le possibilità di percepire un reddito, valutate in astratto, non costituiscono elemento che possa concorrere all’esonero dell’assegno considerato che il diritto al mantenimento del coniuge debole non è legato all’incapacità lavorativa bensì all’esigenza di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 3502/2013).
Nella valutazione dei redditi del coniuge avente diritto la giurisprudenza ha affermato che l’accertamento va condotto non solo sui redditi propri o direttamente fruibili dallo stesso ma anche in modo indiretto attraverso la “capacità di spesa de coniuge”.
Per escludere il diritto al mantenimento non solo la mancanza di entrate ma anche le uscite possono essere utilizzate come prova di un reddito adeguato, in quanto possibili solo in presenza di un’entrata o di un reddito (Cass. n. 24667/2013).
Non possono essere considerati redditi, gli aiuti da parte dei familiari, perché sugli stessi il coniuge non può fare affidamento costante né avanzare pretese.


L’assegno può infine venir meno ove il coniuge beneficiario acquisti iure hereditatis la proprietà di un immobile o comunque una eredità consistente tale da assicurare un miglioramento economico che possa garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 932/2014) mentre una eredità di modesto valore “non altera l’equilibrio raggiunto con la determinazione dell’assegno” (Cass. n. 20408/2011)


c) convivenza o nuove nozze
La costituzione di una nuova famiglia anche di fatto dal parte del coniuge separato o divorziato tenuto alla corresponsione del’assegno di mantenimento non legittima di per sé l’esonero dall’obbligo nei confronti dei figli né dell’ex coniuge, poiché è espressione di una libera scelta che lascia inalterata la consistenza degli obblighi determinati in sede di separazione o divorzio (Cass. n. 12212/2001), potendo semmai influire sulla modifica del valore dell’assegno in base al miglioramento o al peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. n. 24506/2006).
Quando, invece, a costituire un nuovo nucleo familiare è l’avente diritto all’assegno di mantenimento assume rilievo non solo il passaggio a nuove nozze che determina la perdita del diritto al mantenimento ma anche la mera convivenza, posto che la situazione modifica la condizione personale dell’ex coniuge.
Deve però trattarsi di una relazione avente i caratteri della stabilità, della continuità e della regolarità.
La Cassazione ha affermato che il diritto a mantenimento viene meno quando si crea una nuova famiglia poiché la convivenza e la relativa prestazione di assistenza da parte del convivente costituisce elemento da valutare in ordine alla disponibilità di “mezzi adeguati” rispetto al parametro rappresentato dal tenore di vita goduto del corso delle nozze (Cass. n. 25845/2013).

d) morte del coniuge

L’assegno di mantenimento si estingue nel momento della morte di colui che è obbligato a versarlo.
L’avente diritto, però, può ottenere una quota dell’eredità proporzionale alla somma percepita con l’assegno periodico da quantificarsi sulla base del quantum ricevuto sino al momento della morte, dell’entità del bisogno, della consistenza dell’eredità e delle condizioni economiche degli eredi.
Anche il coniuge divorziato percettore dell’assegno divorzile pur perdendo i diritti successori può rivalersi sull’eredità dell’ex compagno scomparso avendo diritto ad un “assegno successorio” a carico dell’eredità.

Il mantenimento non viene meno automaticamente con il sopraggiungere di fatti estintivi ma in seguito all’intervento dell’autorità giudiziaria con l’emanazione di una sentenza che accerta l’estinzione dell’obbligazione ex art. 710 c.p.c. o che omologa le modifiche effettuate dai coniugi.

(Sentenze tratte da www.studiocataldi.it quotidiano giuridico)